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Alla scoperta dei Collegi di Maria a Palermo (prima parte)

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di Giacomo Cangialosi

Collegio di Maria all’Olivella

Esterno chiesa S. Gioacchino Olivella

Esterno chiesa S. Gioacchino Olivella

Nel 1721 il parroco di S. Croce don Carlo Vanni decise di fondare una scuola per le fanciulle del rione per istruirle nella religione e nelle arti donnesche e trovò anche l’appoggio del Principe Butera Branciforti e di buona parte della nobiltà. L’istituto si rifaceva alla Regola del cardinale Corradini. La fondazione avvenne dietro il coro dell’Olivella (presso l’attuale via Gagini) ma dopo qualche anno, acquistate alcune case presso il monastero dei Basiliani, fondarono l’attuale struttura cui concorse anche la benevolenza dell’Arcivescovo Mons. Gasch. Il 15 dicembre vi venne anche fondata una chiesa dedicandola a S. Gioacchino (la prima a Palermo dedicata al padre della Madonna) su progetto di Nicolò Palma. Nel collegio si mantenevano quattro scuole gestite dalle suore maestre: cioè quella di cucito, di ricamo, di fare calzette e realizzare merletti. Le suore collegine “si astringono con voti semplici in mano del Vescovo” (castità, povertà e obbedienza) e dopo qualche anno aggiungono quello della perseveranza. Riconoscono come fondatore S. Pietro per cui l’abito è simile a quello dei sacerdoti diocesani. Nel collegio venivano ammesse sia le figlie dei nobili che di altri ceti e per le più povere ci si rifaceva delle spese con la vendita dei loro lavori. Vanno in collegio la mattina e la sera tornano alle loro dimore. Questa opera dopo pochi anni, visto il beneficio che ne arrecava alle fanciulle, venne estesa non solo a tutti i quartieri della città ma addirittura a quasi tutti i paesi della provincia e anche oltre.
La chiesa di S. Gioacchino ha la facciata in pietra d’intaglio con il busto del Santo Titolare che tiene in braccio Maria

Chiesa S.Gioacchino - interno

Chiesa S.Gioacchino – interno

bambina. L’interno presenta il coro all’ingresso e quattro cappelle oltre l’altare maggiore. E’ tutta ornata di stucchi bianchi attribuiti a Procopio Serpotta comprese le due statue del cappellone raffiguranti S. Gregorio e S. Filippo Neri ai lati della nuova tela di S. Gioacchino (essendo stata distrutta dai bombardamenti del 1943 l’affresco antico di Pietro Martorana). Negli altari tele di Filippo Randazzo (Madonna del Rosario e Madonna con Santi) e di Pietro Martorana (Arcangelo Raffaele). Dello stesso autore ai lati del presbiterio due tele con “Presentazione di Maria al tempio” e “Presentazione di Gesù al tempio”. Pregevoli i coretti tra le cappelle. Il collegio ancora oggi assolve la funzione di scuola per le ragazze del quartiere.

Collegio di Maria al Capo

Pala altare chiesa Collegio al Capo

Pala altare chiesa Collegio al Capo

Dopo 5 anni dalla fondazione del primo collegio di Maria a Palermo viene fondato al Capo il secondo per volontà del sacerdote Carlo Ebbano. La chiesa venne edificata nel 1732 dedicandola a Maria Bambina presentata al tempio. Anche queste suore si rifacevano alla regola del cardinale Corradini e si occupavano dell’istruzione delle fanciulle del rione. Benefattore fu Salvatore Gravina principe di Palagonia che venne seppellito nella chiesa in un bel monumento funebre.
La chiesa, opera dell’architetto Emanuele Cardona, presenta una facciata arricchita da uno

Ritratto del Gravina nel Collegio di Maria al Capo

Ritratto del Gravina nel Collegio di Maria al Capo

stemma mariano sorretto da angeli e con la dedicazione della chiesa. All’ingresso il doppio coro sotto il quale si trova il detto monumento funebre del Gravina. La pianta della chiesa è quadrata sovrastata dalla grande cupola e presenta oltre il presbiterio con la tela settecentesca della titolare anche due cappelle laterali, uno dedicata al Crocifisso e una all’Immacolata. Le pareti e la cupola sono decorate da eleganti affreschi secondo lo stile neoclassico. Il collegio ha un bel giardino ed ancora oggi è sede di una scuola materna ed elementare gestita dalle suore collegine.


Alla scoperta dei Collegi di Maria a Palermo (seconda parte)

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di Giacomo Cangialosi

collegio di Maria della Sapienza

collegio di Maria della Sapienza

Collegio di Maria alla Kalsa (detto S. Maria della Sapienza)
Fu don Gaetano Lo Piccolo a fondare nel 1741 il collegio di Maria alla Sapienza per le fanciulle del quartiere Kalsa. All’inizio la sede fu in via Butera presso l’oratorio di Gesù e Maria (oggi ridotto ad uso profano), poi venne spostato presso la chiesa della Savona e finalmente nel 1754 nell’attuale luogo a piazza Magione. Nel 1761 l’opera passò in mano a don Ignazio Capizzi che portò a termine la chiesa e il collegio tanto da essere nominato anch’esso come fondatore.
La chiesa, simile a tutte le altre delle collegine, ha una semplice facciata con loggia superiore e all’interno la navata è preceduta dal coro. Oltre al presbiterio vi sono due altari laterali. Venne benedetta nell’aprile 1850 dal cardinale don Ferdinando Pignatelli. Oggi il complesso si trova isolato al centro della piazza Magione essendosi salvato dai bombardamenti del 1943. Abbandonato dalle suore collegine che, in previsione di un piano regolatore che ne prevedeva la demolizione (poi non attuata), si trasferirono nella nuova sede di via Castellana (portando con loro tutte le opere d’arte e le suppellettili) venne utilizzata per alcuni anni dalle suore di Madre Teresa di Calcutta che da poco tempo lo hanno lasciato. In chiesa sull’altare maggiore un grande Crocifisso del XIX secolo, unica opera rimasta.

Collegio di Maria all’Albergheria
Venne fondato per volontà del parroco di S. Nicolò Don Isidoro del Castillo ( raffigurato in un medaglione all’ingresso della

facciata chiesa Collegio di Maria Albergheria

facciata chiesa Collegio di Maria Albergheria

chiesa) nel 1752 nel palazzo del barone Calascibetta del quale sussistono ancora alcune strutture, benefattrice la nipote di don Casimiro Conti. Anche questo collegio faceva riferimento alla regola del cardinale Corradini e si occupava dell’educazione delle ragazze dell’Albergheria.
La chiesa, dedicata a S. Giuseppe, venne iniziata nel 1762 e solennemente benedetta nel 1877 da mons. Cirino vescovo ausiliare del cardinale Celesia. La facciata in pietra intagliata è sovrastata dalla loggetta-belvedere e sul portone dal medaglione con S. Giuseppe. L’interno a navata unica è preceduta dal coro e presenta la volta della navata e dell’abside affrescate da Antonio Manno nel 1774. Nel presbiterio troneggia su un bell’altare in stile neoclassico la statua della Vergine Avvocata dei casi disperati , opera di Rosario Bagnasco, ai lati quadroni in stucco. Vi sono due cappelle per lato separate da coretti. Le cappelle contengono degli armadi reliquiari e colonne tortili con putti volteggianti. Gli altari sono dedicati al Crocifisso, al Sacro Cuore di Gesù, alla Sacra Famiglia e ai Tre cuori coronati (Gesù, Maria e Giuseppe). Notevoli i lampadari in vetro di Murano originali. Oggi questo collegio viene utilizzato per studentesse fuorisede.

Alla scoperta dei Collegi di Maria a Palermo (terza parte)

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di Giacomo Cangialosi 

chiesa del Giusino - interno

chiesa del Giusino – interno

Collegio di Maria del Giusino
Fondato nel 1788 dalla dama Giuseppa Tetamo Giusino come scuola di educazione di fanciulle, venne rinnovato nel 1808 da don Vincenzo Fontana ciantro del Capitolo metropolitano che fece adottare all’istituto le regole del cardinale Corradini. Superiora venne designata suor Maria teresa Caraccioli del collegio della Sapienza alla Magione. Nel 1812 venne edificata l’attuale chiesa dedicandola all’Immacolata Concezione e benedetta nel 1839 da mons. Don Giulio Benzo vescovo di Costantina dell’ordine Benedettino.
Nella facciata, sul portone, il monogramma mariano con angeli genuflessi. L’interno a navata unica è preceduto dal coro ed è arricchito dalle sei statue di

Giacomo Serpotta raffiguranti sibille provenienti dall’oratorio dei Musici al Ponticello semidistrutto dal terremoto del 1823. Sull’altare maggiore “Immacolata” di Giuseppe Patania e ai lati due tele di Giuseppe Bagnasco. Nell’altare di sinistra “S. Teresa” dello stesso Patania e in quella di destra un “Crocifisso” appoggiato ad una tela con paesaggio. Oggi le suore del Giusino ospitano studentesse fuorisede.

Collegio di Maria al Borgo
Fondato dal Parroco Don Emanuele Custos nel 1802 per l’educazione delle fanciulle del quartiere esterno della città

chiesa del Giusino

chiesa del Giusino

denominato Borgo (oggi Borgo vecchio) utilizzò la chiesa di S. Maria di Monserrato che era stata edificata da Guglielmo Fornaja nel 1571 per comodità degli abitanti del rione. Fino al 1600 i sacramenti erano amministrati dalla parrocchia di S. Giacomo la Marina che teneva in questa chiesetta due cappellani, ma nel 1600, dopo la riforma delle parrocchie, avvenne l’affrancamento dalla parrocchia cittadina. Quando poi si liberarono la chiesa e il convento di S. Lucia dei Conventuali, il titolo parrocchiale venne trasformato in quello di S. Lucia e là trasferito. Pertanto si rese possibile la fondazione del Collegio di Maria.
La chiesa a navata unica non presenta nulla di rimarchevole ad eccezione di una statua dell’Immacolata attribuita a Girolamo Bagnasco. Sull’altare si trovava la tela di Filippo Paladini raffigurante la Madonna del Monserrato (oggi trasferita nella Casa Madre di via G. Evangelista di Blasi). Ancora oggi è abitata dalle suore che vi gestiscono una scuola.

Epilogo
Oggi molte delle opere d’arte e delle innumerevoli suppellettili (paliotti ricamati, parati liturgici, argenterie, tele, statue, mobili e quant’altro) dei Collegi di Maria di Palermo e provincia sono state trasferite nella Casa madre di via Giovanni Evangelista di Blasi dove è previsto l’allestimento di un museo. Se l’operazione può essere ritenuta lodevole per la salvaguardia dei beni pur tuttavia questi oggetti sono stati “depredati” dai luoghi di origine e non assolveranno più la funzione per la quale erano stati realizzati.

Alla scoperta dei reclusori, conservatori e ritiri del mandamento Castellammare

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di Giacomo Cangialosi 

Conservatorio dei Fanciulli dispersi

Resti Chiostro Conservatorio dei Dispersi all'interno del conservatorio di musica

Resti Chiostro Conservatorio dei Dispersi all’interno del conservatorio di musica

Nel 1565 la compagnia di S. Dionisio fondò questa istituzione per ospitare i fanciulli sotto i 18 anni orfani e senza sostentamento che mendicavano per la città. Ma ben presto si estinse e fu rifondata nel 1617 dal vicerè Conte di Castro aggiungendo la clausola che prima di dar loro un mestiere fossero radunati in un luogo da destinare per essere “educati nel santo timore di Dio”. La cura venne data ad un virtuoso uomo Fra Antonio di Napoli che già svolgeva per proprio conto questa opera di bene. Il luogo prescelto fu di fronte la chiesa di S. Cita accanto alla chiesa dell’Annunziata (probabilmente vennero utilizzati i resti della vecchia chiesa). La pia istituzione venne posta sotto la protezione della Vergine e del Buon Pastore e venne chiamata Casa della Deputazione di Nostra Signora dei dispersi. Era sotto la protezione del Senato il quale donò parte della gabella sulla neve e sul macinìo del grano. I fanciulli vestivano una tunica lunga con mantello blu e intervenivano alle processioni. Lo stemma era rappresentato dall’immagine del Buon Pastore. 32 venivano mantenuti dall’istituzione mentre quelli a pagamento avevano il titolo di Abate. Imparavano le lettere e la musica. Il re Ferdinando II rinnovò l’istituto e ne accrebbe le rendite. Da quell’epoca l’abito era formato da calzoni neri, cappello tondo e soprabito blu.
Il Conservatorio si estinse dopo l’Unità d’Italia e i locali oggi sono occupati dal Conservatorio di musica Vincenzo Bellini. Sussistono il bel portale quattrocentesco (anteriore quindi alla fondazione del conservatorio) e resti di un chiostro e forse della primitiva chiesa dell’Annunziata utilizzata fin dall’inizio dai fanciulli dispersi.

Conservatorio della Madonna della Provvidenza, detto di Suor Vincenza

Ritiro di Suor Vincenza accanto alla chiesa di S. Giorgio

Ritiro di Suor Vincenza accanto alla chiesa di S. Giorgio

Venne fondato nel 1710 dall’arcivescovo Gasch che affido a Suor Vincenza Amari, terziaria domenicana, alcune fanciulle per evitare che, per la loro povertà , cadessero in peccato. Subito arrivarono cospicue elemosine per sostenere l’opera. All’inizio ebbe luogo presso varie case in affitto, poi nel 1717 si stabilì in via Formai presso la parrocchia di S. Margherita ma, risultato angusto, nel 1722 venne trasferito presso la chiesa di S. Giorgio dei Genovesi dopo l’acquisto di alcune case per il prezzo di 606 once. Vi si fabbricò pure una chiesa sotto il titolo della Madonna della Provvidenza che venne benedetta il 25 marzo 1754 dal parroco di S. Giacomo la Marina don Angelo Serio. Nel 1777 la chiesa venne rinnovata a spese del benefattore don Antonino Carnovale e riaperta il 3 dicembre 1785. La chiesa, che si affacciava sulla piazzetta posta tra porta S. Giorgio (detta anche di S. Rosalia) e la chiesa di S. Giorgio dei genovesi, aveva una semplice facciata con colonne e l’interno era ornato di pitture e stucchi. Ai piedi del cappellone era la tomba del benefattore Carnovale. Nel Conservatorio convivevano fanciulle a pagamento e altre “franche”. Spesso vi si ritirava qualche dama spontaneamente o per ordine del Governo per correzione. Nel 1866 il Conservatorio venne trasformato in case per abitazione mentre la chiesa continuò ad essere aperta al culto. Quando, a fine ottocento, venne smantellata la chiesa parrocchiale del Castello a mare, il bel portale bugnato venne rimontato nella parete esterna settentrionale di questa chiesetta insieme ad una lapide che ricordava il martirio di alcuni patrioti. La chiesa venne distrutta durante i bombardamenti del 1943. I pezzi del portale della chiesa del Castello vennero recuperati e portati allo Spasimo dove si trovano ancora.

Conservatorio di S. Spirito

Il Conservatorio di S. Spirito

Il Conservatorio di S. Spirito

Questo istituto venne fondato nel 1826, per volere di Francesco I di Borbone, nell’ex ospedale di S. Bartolomeo per dare asilo ai fanciulli esposti e abbandonati che in origine venivano ospitati presso l’Ospedale Grande. Il bel prospetto presentava una porta con sopra una lapide con l’immagine del suddetto monarca sostenuta da due genietti e un affresco di Vincenzo Riolo raffigurante “La Pietà che conduce ai piedi della Religione gli sventurati figli del Delitto”. I maschi vi restavano fino all’età di 7 anni epoca in cui venivano trasferiti nell’Ospizio di Beneficenza (sito presso porta S. Giorgio) e istruiti nell’educazione alle armi, mentre le fanciulle vi restavano fino a che non trovavano marito ed erano anche provviste di una dote. Vigilavano al conservatorio un Soprintendente e due Governatori, un Cappellano ed un economo. Dal titolo del conservatorio i fanciulli abbandonati venivano detti figli dello Spirito Santo (da cui il nome anche della piazza antistante creata per l’abbattimento della parrocchia di S. Nicolò alla Kalsa danneggiata dal terremoto del 1823). La struttura era anteriore al 1581, epoca in cui, prolungatosi il Cassaro, fu ristrutturato.
Il 9 maggio 1943 l’edificio veniva danneggiato dal terribile bombardamento restando integro solo il loggiato verso Porta Felice. Dopo la guerra avvenne una ricostruzione molto discutibile che contrasta con la bellezza della piazza S. Spirito. In tale contesto architettonico il bel loggiato da una pallida ombra della bellezza originaria.

Alla scoperta di reclusori, conservatori e ritiri del Mandamento Tribunali

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di Giacomo Cangialosi

Ritiro della Candellara
Venne fondato nel 1447 dietro l’Ospedale di S. Bartolomeo nella cappella della Madonna della Candellara (o Candelora) ed era abitato da clarisse non soggette a clausura. Le donne che vi si ritiravano si sostentavano con i loro lavoretti. Passò quindi nel vicolo del Sant’Uffizio presso lo Steri, vi era un piccolo oratorio per le preghiere personali, e finalmente all’inizio del XIX secolo grazie alla liberalità di alcuni benefattori si arricchì di una chiesa con prospetto sulla pubblica strada e venne ingrandito anche il ritiro con l’acquisto di alcune case limitrofe. Vi abitavano oltre le monache anche fanciulle per “apprendervi i lavori donneschi” che si automantenevano pagando all’istituto solo la pigione per la stanza. Già alla fine del secolo scorso non esisteva più in quanto inglobato nel vicino Hotel de France.

Conservatorio di S. Caterina da Siena
La fondazione nel 1610 fu voluta da Donna Caterina Villaraut, baronessa di Prizzi la quale volle che nobili fanciulle ma povere avessero un luogo dove ritirarsi. La fondazione avvenne utilizzando la sua abitazione in via Porta di Termini (attuale via Garibaldi). Venne edificato il conservatorio e anche una chiesa dove potessero essere svolte le funzioni. Le fanciulle erano affidate a monache che vestivano l’abito domenicano e le ragazze pagavano l’affitto e si sostenevano con il loro lavoro che consisteva nella preparazione di pasta per minestra. Nel 1866 l’istituto non venne soppresso perché considerato opera di carattere sociale ma con l’avvento dei tempi moderni si estinse poco per volta. La chiesa, al centro della facciata, fu rifatta nel XIX secolo, all’interno il coro sull’ingresso protetto da grate e negli altari alcune statue lignee (SS. Crocifisso ed Ecce Homo) di pregio. Oggi è utilizzata dall’opera di Biagio Conte e ospita la sezione femminile.

Conservatorio dello Spedaletto
Così chiamato perchè prima fu ospedale di incurabili e convalescenti venne fondato da Andrea Picone e Leonardo Damigello. Questi due uomini, presi da dispiacere per questi poveri ammalati, costruirono una casa con la Chiesa in via Divisi ma si ignora l’anno esatto di fondazione. Già però nel 1646 si raffreddò il fervore e presumibilmente nel 1655 venne trasformato, con il consenso dei fondatori dell’ospedale, da don Pietro Giardina Teatino in conservatorio per le fanciulle che, per povertà, “andavano la notte raminghe per la città e dormivano nelle pubbliche strade”. All’inizio le ragazze vi andavano solo per dormire, poi vi restarono anche di giorno e vennero divise in due classi: le vergini e “quelle che avevan sofferto qualche disgrazia nell’onore”. Tali fanciulle venivano ricercate la notte da alcuni notabili nelle osterie, nelle bettole, sotto i portici delle chiese e venivano condotte allo Spedaletto. Venivano dette Serve della Vergine Addolorata e vestivano l’abito delle Servite. Già nel XVIII secolo però era utilizzato per l’educazione di ragazze fino all’età di marito o fino alla vestizione monacale occupandosi poi delle nuove ragazze che entravano. La chiesa, ad unica nave e presbiterio, era dedicata alla Vergine Addolorata. Sull’altare maggiore il quadro della titolare. La chiesa e il complesso vennero distrutti per la realizzazione della via Roma anche se alcune strutture resistettero fino all’ultima guerra. Anche in questo conservatorio si vendeva pasta per minestra e la magnesia per l’acidità di stomaco.

Reclusori, Conservatori e Ritiri del Mandamento Palazzo Reale (prima parte)

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di Giacomo Cangialosi

Conservatorio di S. Pietro
Questa struttura in origine era monastero di carmelitane che nel 1633 si trasferirono alla Kalsa (monastero di S. Teresa). Il Conservatorio sito nella contrada del Trappetazzo (oggi nella piazzetta che prende il nome dal conservatorio) venne fondato nel settembre del 1666 dal sacerdote Don Giuseppe Bonfante che vi trasferì le “donne levate dal peccato” da alcune case presso S. Giovanni dei Tartari e in onore dell’Arcivescovo don Pietro Martines Rubio fu dedicato al principe degli Apostoli. Grande benefattore fu il Duca don Giovanni Sammartino Ramondetto il cui busto si vede ancora sulla porta del parlatorio, egli intervenne economicamente dopo un incendio scoppiato nel 1717, da tale anno, per sua volontà, il conservatorio prese il nome delle Ss. Maria Maddalena e Marta ma alla sua morte riprese il nome originario. Dopo qualche tempo l’istituto venne utilizzato dall’Autorità per ripararvi donne d’ignobili natali o donne che, per cattiva condotta del marito, potessero incorrere in qualche pericolo. In seguito divenne casa di riposo per anziani e oggi i locali sono gestiti dal Centro Sociale facente capo a S. Francesco Saverio. All’interno sussiste ancora un cortile porticato forse residuo del monastero carmelitano. La piccola chiesa venne utilizzata dal 1982 al 1995 dalla confraternita M. SS del Rosario al Carminello e oggi è chiusa al culto. Non vi sono mai state opere di particolare rilievo.

Conservatorio della Famiglia di Maria detto dell’Annunziata
Posto nella piazza di Casa Professa venne fondato dal Marchese di Geraci Ventimiglia nel 1671. In esso convivevano suore benedettine e donne civili che venivano da quelle educate. Nel 1971 rischiò la distruzione ma, mercè l’intervento di Rosario La Duca, venne bloccata la demolizione. Oggi è proprietà dell’Opera Universitaria che ha destinato l’immobile a residenza universitaria. Sussiste solo la facciata. All’estremità destra si trova la facciata della chiesa edificata nel 1796. Presenta un bel portale barocco con sopra un tondo con l’Annunciazione.

Ritiro delle Zingare
Sito in via Benedettini, venne fondato il 7 aprile 1680 per accogliere le prostitute pentite che volontariamente si ritiravano in penitenza. Prendeva il nome dal rione che era ricetto di zingari. Nel 1749 venne rinnovato dal parroco del territorio Don Isidoro Del Castillo, da don Gioacchino Genco sacerdote di Salemi e da Ottavio Amenta “algozirio” (carica che corrispondeva a quella degli antichi Littori). Il titolo del Ritiro è di N.S. Derelitta mentre la chiesa è dedicata alla “Madonna che fugge in Egitto” e venne fondata dal Canonico metropolitano don Giuseppe Cozzo. Nell’avvicinarsi di alcune feste si raccoglievano, ad opera di volontari, le prostitute di strada e vi si richiudevano per tre giorni per fare gli Esercizi spirituali. Al termine ciascuna di esse poteva scegliere se rimanere e abbandonare la vita corrotta o ritornare sulla strada. Nel ritiro le ex-prostitute avevano a disposizione vari telai per la tessitura con il quale si guadagnavano da vivere. La chiesa all’inizio aveva il prospetto sulla strada ma poi restò chiusa dentro la struttura. L’interno della chiesa era molto fastoso e ornato di stucchi, in dodici nicchie vi erano le statue degli Apostoli. Nel XIX secolo il ritiro divenne carcere femminile detto impropriamente delle Benedettine e subì varie trasformazioni per questo nuovo utilizzo. Trasferito questo a Termini Imerese, nel 1980 divenne ricetto di centri sociali e anche teatro. Da qualche anno sono in corso i lavori di restauro. Ignota la sorte della chiesa e delle opere che conteneva.

Storia della nascita della dieta mediterranea

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di Flavia Cascio, Dietista

Foto tratta dal web

Foto tratta dal web

Il termine dieta (dal greco “modo di vivere”) ha assunto col tempo un duplice significato, in quanto può indicare l’insieme dei nutrienti ingeriti dall’uomo per soddisfare il bisogno alimentare (per es. dieta mediterranea) e in tal caso riecheggia l’originario concetto di “stile di vita”; oppure può richiamare, nel linguaggio comune, al concetto di limitazione alimentare, in riferimento al totale calorico (dieta dimagrante) o alla proibizione di consumare determinati alimenti.

Il modello della Dieta Mediterranea fu definito dallo scienziato americano Ancel Keys negli anni ’50, poiché rappresentava lo schema alimentare seguito dai popoli del bacino mediterraneo, prevalentemente contadini o pescatori, che basavano la loro dieta sui prodotti della terra da loro coltivati (ortaggi, cereali e frutta fresca), sul ricavato della pesca e solo in limitate quantità sul consumo di carni provenienti da animali allevati nei propri cortili. Latticini e uova rappresentavano gli alimenti di origine animale più consumati e il condimento più utilizzato era l’olio d’oliva.

Questo modello alimentare purtroppo è stato progressivamente abbandonato a partire dal periodo del boom economico degli anni ’60 e ‘70 perché ritenuto povero e poco attraente rispetto ad altri modelli alimentari provenienti in particolare degli Stati Uniti.

Negli ultimi tempi però la dieta mediterranea sta sicuramente riconquistando l’interesse dei consumatori e sta conoscendo una grande diffusione anche nei Paesi lontani dal bacino mediterraneo proprio perché modello di alimentazione frugale, prevalentemente basata sul consumo di alimenti vegetali.

E in quanto “modello” nel 2010 è stata proclamata dall’UNESCO patrimonio culturale immateriale dell’umanità a testimonianza dell’eccellenza mondiale dello stile di vita mediterraneo. La dieta Mediterranea non va dunque intesa strettamente come l’alimentazione tipica delle popolazioni mediterranee (a base di grano, olio e vino etc.), anche se questa è la sua origine, ma in senso più ampio come un esempio di alimentazione a prevalenza vegetale, che attinge la maggior parte dell’energia dai cereali integrali, ricca di frutta, verdura, legumi e pesce e povera di carne e di altri prodotti animali.

E’ ormai dimostrato da molte evidenze scientifiche che la dieta Mediterranea è uno dei modelli alimentari più efficaci in termine di benessere e prevenzione delle malattie croniche associate all’eccesso di peso.

Adottando tale regime dietetico equilibrato e associando l’attività fisica quotidiana è possibile ottenere benefici sulla nostra salute, prevenire l’obesità e ridurre il rischio di incorrere in complicanze (malattie cardiovascolari, diabete, ipertensione e tumori).

Reclusori, Conservatori e Ritiri del Mandamento Palazzo Reale (seconda parte)

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di Giacomo Cangialosi

chiesa S. Maria del Soccorso

chiesa S. Maria del Soccorso

Conservatorio della Trinità detto del Brunaccini
Sito in piazza Brunaccini presso la Biblioteca Comunale, venne fondato nel 1714 da donna Lucrezia Brunnaccini dama messinese che aveva il compito di riunire tre tipo di donne: le conviventi sperimentate (serve e educande), le congregate approvate (quelle cioè che dopo un anno di noviziato si offrivano alla SS. Trinità senza voti o dopo tre anni con voto di verginità) e le vergini consacrate (quelle che dopo nove anni facevano i tre voti ordinari). Anche le vesti erano diverse per le tre categorie. Le conviventi vestivano modestamente, le congregate di nero e le consacrate portavano l’abito delle benedettine con in petto lo stemma con un giglio con tre fiori identici e la scritta “Uni et Trino Deo sacratae”. All’inizio ebbero un oratorio privato, poi nel 1757 lo trasformarono in chiesa con la porta sulla strada. In essa si poteva osservare una tavola dello Zoppo di Gangi che raffigurava “S. Francesco d’Assisi che beve dal costato di Cristo” e alcune reliquie di S. Benedetto il Moro. Lasciato in abbandono dopo il 1866, subì un pesante bombardamento nel 1943. Da alcuni anni è stato restaurato e ospita un albergo.

Rifugio dei Poveri
Sito in via Albergheria, utilizzava i locali lasciati liberi dai carmelitani adiacenti alla chiesa della Madonna del Soccorso nel 1775.

Abside Madonna del Soccorso

Abside Madonna del Soccorso

La struttura veniva utilizzata per ricoverare i poveri di entrambi i sessi in cameroni separati “con apprestarvi nell’inverno il fuoco” e se nevicava vi restavano anche di giorno provvisti di pane. Nel 1851 vi fu istituito un ricovero per fanciulle povere dal sacerdote don Filippo Bertone il quale vi apportò alcune modifiche e restaurò pure la chiesa. Ma già nel 1861 venne soppresso e di nuovo accolse i poveri. Dopo alcuni anni il Rifugio venne trasformato in case di abitazione mentre la chiesa restò aperta per il culto ma negli anni ’30 del XX secolo fu abbattuta nel piano di risanamento per la creazione di una strada rimasta poi interrotta. Ancora oggi si può vedere l’abside vuota dove si venerava la Madonna del Soccorso (opera di Piscitello) oggi nella parrocchia di S. Nicolò all’Albergheria. Altre due opere della chiesa (un Crocifisso ligneo e una tela con la Madonna delle Grazie) si trovano nella parrocchia della Madonna delle Grazie a Roccella in corso dei Mille.


Reclusori, Conservatori e Ritiri del Mandamento Monte di Pietà

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di Giacomo Cangialosi

Ritiro delle figlie della Carità detto il Filippone
L’unico ritiro esistente in questo mandamento venne fondato dal sacerdote don Nicolò Filippone nel 1727 secondo le norme dettate da S. Vincenzo de’ Paoli in Francia. Queste donne, dette Figlie della Carità o Serve delle povere donne inferme, si radunarono per vivere in maniera devota. Non facevano voti particolari ma seguivano propri regolamenti. Il maggiore compito era quello di ricevere donne miserabili e civili affette da patologie e la cui modestia o la vergogna non consentiva loro di rivolgersi agli ospedali e ai medici uomini. Erano le stesse Figlie della Carità a visitarle e talora a fare anche interventi chirurgici. Solo in caso di necessità venivano chiamati medici esterni periti nelle varie patologie. Scrive Gaspare Palermo: “Cacciano sangue, applicano vescicatorii, curano mal di occhi, strume, ferite e piaghe di ogni genere, polipi nelle narici e nelle fauci, aposteme di qualsiasi sorte, febbri di ogni genere, dolori, scabbia, tigna senza strappar i capelli e senza usar la pece, empetiggini, scorbutico, itterizzia, scottatura, crepatura, contusioni e qualunque altro contagioso malore”, un policlinico universitario ante litteram oserei dire!

Vi era anche un’infermeria dove si preparavano i medicamenti e si dedicavano anche alla pulizia delle vecchie e le istruivano pure nella religione. In Quaresima ospitavano per nove giorni dame e donne civili o povere per fare loro gli Esercizi di S. Ignazio di Lojola. Nel 1857 in seguito all’eredità di Don Giovanni Fernandez vi venne fondato anche un ospedale per le gentildonne povere. In verità la struttura ospedaliera si era iniziata a costruire in locali adiacenti, ma ci si accorse che il terreno era umido per le infiltrazioni del Papireto per cui si preferì fare una permuta con il Comune (che poi vi costruì l’Accademia di Belle Arti secondo il progetto di Damiani Almeyda) mentre l’ospedale venne edificato in altra zona del piano del Papireto ma oggi non esiste più.

Amministratori erano i parroci pro tempore di S. Ippolito martire, di S. Antonio Abate e di S. Nicolò alla Kalsa. La chiesa, edificata all’inizio del XIX secolo, non ha porta all’esterno. Esiste ancora un bel portale bugnato, forse residuo di un antico palazzo cinquecentesco riutilizzato dal Filippone per la fondazione del Ritiro, un giardino interno e la chiesa ormai chiusa al culto da alcuni anni.

Attualmente parte dell’immobile è affidato all’Associazione Madre Serafina Farolfi che si occupa dei bambini del quartiere. Su piazzetta D’Ossuna è visibile l’abside della chiesa e sotto i resti della cripta sepolcrale utilizzata oggi come autorimessa.

Grassi, scegli la qualità e limita la quantità

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di Flavia Cascio

cibi grassi, grassi alimentariPer stare in salute è opportuno introdurre con l’alimentazione una certa quantità di grassi, ma è altrettanto opportuno non eccedere per prevenire l’insorgenza di obesità, malattie cardiovascolari e tumori.

I grassi, oltre a fornire energia in maniera concentrata (9 calorie al grammo, cioè più del doppio rispetto a proteine e carboidrati), apportano acidi grassi essenziali della famiglia omega-6 (acido linoleico) e della famiglia omega-3 (acido linolenico) e favoriscono l’assorbimento delle vitamine liposolubili A, D, E, K e dei carotenoidi.
I grassi sono presenti negli alimenti sia in forma visibile (ad esempio il grasso del prosciutto, della bistecca, ecc.) sia invisibile (come il grasso del formaggio, ecc.) e le quantità variano da un prodotto all’altro, da valori molto bassi (intorno all’1% in svariati prodotti vegetali e in certe carni e pesci particolarmente magri) a valori molto alti nei condimenti: l’85% nel burro e nella margarina e il 100% in tutti gli oli.

Nonostante tutti i grassi siano uguali sul piano dell’apporto energico, essi possono essere molto diversi sul piano della qualità e ciò può avere effetti importanti sullo stato di nutrizione e di salute dell’organismo.
Imparare a conoscere le diverse tipologie di grassi contenute negli alimenti è utile ai fini di un’alimentazione consapevole. I grassi dei cibi ad elevato tenore di acidi grassi saturi tendono a far innalzare il livello di colesterolo nel sangue ancor più di quanto non faccia l’apporto alimentare del colesterolo stesso.
Fra questi alimenti rientrano soprattutto i prodotti lattiero-caseari (formaggi, latte intero, panna, burro), le carni grasse e i loro derivati e certi oli vegetali (olio di palma e di cocco).
I grassi dei cibi ad elevato tenore di acidi grassi insaturi non fanno innalzare il livello di colesterolo nel sangue. Questi alimenti sono rappresentati soprattutto da oli vegetali (di semi e di oliva), noci, nocciole, olive e pesce.

I grassi insaturi comprendono sia i monoinsaturi che i polinsaturi. L’olio di oliva è particolarmente ricco in monoinsaturi, soprattutto acido oleico, il quale presenta due vantaggi: fa diminuire i livelli nel sangue del colesterolo LDL (altrimenti chiamato “colesterolo cattivo”), quello che tende a depositarsi sulle pareti delle arterie, e fa aumentare i livelli del colesterolo HDL (o “colesterolo buono”).
L’olio di semi è generalmente ricco in polinsaturi del tipo omega-6, efficaci anch’essi nel diminuire il livello del colesterolo LDL, così come anche la frutta secca. I grassi del pesce sono ricchi in acidi grassi polinsaturi del tipo omega-3, capaci di far diminuire nel sangue tanto il livello dei trigliceridi quanto la capacità di aggregazione delle piastrine (ossia il rischio di trombosi), proteggendo così l’organismo dal rischio di insorgenza di malattie cardiovascolari. E’ stato anche dimostrato che gli acidi grassi insaturi potrebbero svolgere un ruolo nella prevenzione di alcune forme di tumori.

Ci sono poi gli acidi grassi trans o idrogenati che tendono a far innalzare il livello di colesterolo nel sangue, soprattutto quello “cattivo”. Sono presenti naturalmente nei prodotti ricavati dagli animali ruminanti (carni e latte) o possono formarsi durante alcuni trattamenti industriali dei grassi vegetali e quindi trovarsi negli alimenti trasformati che li contengono (margarine, brioche, snack dolci, salatini, patate fritte, krapfen, alimenti da fast-food, ecc).

Concludendo, è bene ricordare alcune regole fondamentali per controllare la quantità e la qualità dei grassi che introduciamo nel nostro organismo:

  • Modera la quantità di grassi ed oli che usi per condire e cucinare. Utilizza eventualmente tegami antiaderenti, cotture al cartoccio, forno a microonde, cottura al vapore, ecc.
  • Limita il consumo di grassi da condimento di origine animale (burro, lardo,strutto, panna, ecc.).
  • Preferisci i grassi da condimento di origine vegetale: soprattutto olio extravergine d’oliva e oli di semi.
  • Usa i grassi da condimento preferibilmente a crudo ed evita di riutilizzare i grassi e gli oli già cotti.
  • Non eccedere nel consumo di alimenti fritti.
  • Mangia più spesso il pesce, sia fresco che surgelato (2-3 volte a settimana).
  • Tra le carni, preferisci quelle magre ed elimina il grasso visibile.
  • Se ti piacciono le uova ne puoi mangiare fino a 4 per settimana, distribuite nei vari giorni.
  • Se consumi tanto latte, scegli preferibilmente quello scremato o parzialmente scremato, che comunque mantiene il suo contenuto in calcio.
  • Tutti i formaggi contengono quantità elevate di grassi: scegli comunque quelli più magri, oppure consumane porzioni più piccole.
  • Se vuoi controllare quali e quanti grassi sono contenuti negli alimenti, leggi le etichette.

Conservatori e Rifugi fuori le mura (prima parte)

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di Giacomo Cangialosi

Rifugio e Conservatorio delle Croci
Venne fondato il 4 gennaio 1680 fuori le mura in quella che era stata proprietà della famiglia Moncada e poi donata a Luca Cifuentes, presidente della Gran Corte. Fu voluto dalla Congregazione del Rifugio dei Poveri unita alla Compagnia di S. Dionisio e alla Congregazione delle Sette Opere di Misericordia.

Dopo l’acquisto di questa villa, che veniva utilizzata dai vicerè prima dell’ingresso solenne in città, furono necessari lavori di ristrutturazione che furono finanziati da don Giuseppe Filangeri. Il rifugio era destinato alle “povere fanciulle pericolanti” ed ebbe la licenza dell’arcivescovo don Ferdinando Bazan il 4 aprile 1690.

Il nome di Croci originò dal fatto che venne organizzata una processione penitenziale dal cappuccino padre Antonio da Olivedo il quale propose che in questo luogo venisse rappresentato il Calvario con il piantarvi sette croci, da allora il luogo prese il nome delle Sante Croci. L’ultima che ancora resisteva presso l’ingresso fino a metà del XIX secolo oggi non esiste più.

Questo ritiro godette di notevoli lasciti e donazioni finanche dal Monte di Pietà che dispose l’assegnazione di dodici doti triennali per le fanciulle ivi ospitate. Queste venivano istruite da “ben costumate maestre” che vestivano l’abito francescano.

Nel 1848 venne deciso il prolungamento della via Maqueda oltre le mura e venne realizzato lo Stradone della Libertà che si concludeva proprio presso questo edificio. Per tale motivo fu necessario l’abbattimento della parte occidentale che poi venne risistemato con una struttura in stile neo-normanno opera di G.B. Filippo Basile, il quale progettò anche il vicino Giardino Inglese.

La chiesa dedicata alla Madonna dei Dolori, che era stata abbandonata dopo il 1860, venne riaperta nel 1902 e divenne chiesa del quartiere. Nel 1943 un bombardamento colpì il Conservatorio che venne semidistrutto mentre nella chiesa, rimasta miracolosamente integra, venne trasferita la parrocchia di S. Maria di Monserrato già nella chiesa di S. Lucia al Borgo che era stata a sua volta distrutta dagli stessi bombardamenti.

La chiesa è preceduta da una grande scalinata e si conclude davanti all’anomala facciata che mostra i residui dell’antico portico della villa Cifuentes e oggi tampognato. L’interno è preceduto da un vestibolo dove sono esposti ritratti dei benefattori. Alla destra si apre l’ingresso della chiesa preceduto da un coro, è a navata unica e presenta affreschi del 1901 opera di Giuseppe Enea e Francesco Padovano. Nel presbiterio un pregevole Crocifisso ligneo settecentesco su un reliquiario contornato da un drappo azzurro di notevole effetto. Nella chiesa sono conservate alcune statue di pregio provenienti dall’antica parrocchia di S. Lucia al Borgo: la statua della titolare opera di Rosario Bagnasco, l’Addolorata attribuita allo stesso autore, il Crocifisso in cartapesta con braccia mobili (che viene utilizzato per la processione del Venerdì Santo) e la statua della Madonna di Monserrato che probabilmente aveva sembiante bruno come quella venerata nel famoso santuario presso Barcellona. In un vicino giardino si conserva inoltre il fonte battesimale dell’antica parrocchia del Borgo.

Conservatori e Rifugi fuori le mura (seconda parte)

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di Giacomo Cangialosi

Conservatorio di S. Lucia detta Badia del Monte
Il conservatorio di S. Lucia venne fondato nel 1531 nel luogo dove si trovava l’antico monastero omonimo dietro la Badia Nuova e poi abbandonato, per l’aria malsana del Papireto, dalle monache che si erano trasferite in quello del Gran Cancelliere. Il detto istituto ebbe assegnate dal Senato alcune rendite: parte di quella del grano, della neve e quella della bacchetta che consisteva nel pagamento da parte delle cortigiane pubbliche di una tassa per vestire “al par delle oneste matrone” (parte di tale gabella era assegnata anche al conservatorio delle Repentite). Nel 1781, però, le fanciulle che vi abitavano vennero trasferite in quello fuori porta Maqueda (odierna via Ruggiero Settimo) da poco edificato e non ancora completato. Architetti ne furono G. Battista Cascione e il Vaccarini ma la definizione avvenne per opera di Francesco Donato Scibona in occasione dell’Esposizione Universale degli anni 1891-92. In quegli stessi anni il piano inferiore venne utilizzato (e ancora lo è) per esercizi commerciali. La chiesa invece, dedicata a S. Lucia, venne iniziata nel 1788. La facciata terminata a metà del XIX secolo è decorata da intagli, vasi di pietra e le statue di S. Lucia e di S. Rosalia. L’interno a navata unica presenta il solito coro all’ingresso e quattro cappelle (due per lato) dove non vi sono particolari opere di pregio a parte un Crocifisso ligneo tardo-settecentesco. Nel presbiterio una tela della stessa epoca di buona fattura raffigurante “L’incoronazione di S. Lucia”. Accanto vi è ancora il Conservatorio dotato di spaziosi e cameroni e cortili dove le fanciulle, a spese del Monte di Pietà, venivano educate, nella dottrina cristiana e nei lavori domestici, da religiose che vestivano l’abito domenicano. Dal 1919 al 2000 l’edificio ospitò una prestigiosa scuola per ragazze della “Palermo-bene” gestita dalle suore salesiane (tranne un breve periodo dopo la guerra, epoca in cui la scuola venne trasferita in altra sede a causa dei bombardamenti). Oggi è proprietà di un’Opera Pia e organizza corsi studenteschi.

Reale Ospizio di Beneficienza
Venne edificato nel Piano di S. Oliva nel 1853 per reale volontà secondo il progetto di Carlo Giachery. Si trova oggi nell’isolato compreso tra via Dante, via Villafranca, via N. Garzilli e via della Giostra. Il 12 gennaio 1858 venne finalmente completato e i ragazzi vi vennero introdotti dal Principe di Castelcicala Luogotenente e l’arcivescovo vi trasferì il SS. Sacramento dalla vicina chiesa dei Minimi. Nell’ospizio erano ammessi orfani illegittimi poveri e i giovani figli di genitori privi di sostanze. Vi si insegnavano varie arti (sartoria, calzoleria, ebanisteria, falegnameria e tessitura) per cui i ragazzi, raggiunta la maggiore età, avevano i mezzi per sostentarsi. La struttura era a due piani con un porticato interno (ancora parzialmente riconoscibile). Nel 1860 Garibaldi lo trasformò in Istituto Militare e primo comandante ne fu il garibaldino Giorgio Tamajo. Durante la Rivolta del Sette e Mezzo nel settembre 1866 venne attaccato dagli insorti e saccheggiato. Negli anni successivi riprese il suo antico ruolo benefico ma nel 1943 venne bombardato e i resti vennero utilizzati in vario modo, non ultimo come parcheggio a pagamento! Oggi restano mura diroccate ricoperte da brutti manifesti pubblicitari che lo occultano parzialmente.

 

Le Parrocchie storiche di Palermo – Introduzione (prima parte)

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di Giacomo Cangialosi 

Immacolata (1694) nella facciata di S. Ippolito martire

Immacolata (1694) nella facciata di S. Ippolito martire

La parrocchia, da paroikìa (abitare vicino), è una porzione di territorio delle diocesi su cui presiede un parroco nominato dal vescovo diocesano. L’origine è da collocare nei primi secoli dell’era cristiana anche se è papa Dionisio, alla fine del terzo secolo, ad istituire queste entità ma è solo con il Concilio di Trento (1545 – 1563) che viene più esattamente stabilita la situazione giuridica e territoriale della parrocchia.

In Sicilia si inizia a parlare di parrocchie nel V secolo. Nel 1590 Valerio Rosso parla dell’esistenza a Palermo di nove parrocchie che diventeranno dodici ai tempi di Mongitore. Mentre le parrocchie di S. Pietro e di S. Silvestro erano sovvenzionate dalla corona, i parroci delle altre “esigevano la mercede dovuta a loro sudori per sostentarsi”. Spesso tali richieste divenivano esose soprattutto in occasione delle esequie con scandalo nel popolo per cui i parroci “che doveano essere considerati come padri dell’anime, venivano ad essere odiati come tiranni“. Pertanto l’arcivescovo Mons. Giacomo Lomellino nel 1571 corse ai ripari tanto che il Senato nel 1584 decretò di assegnare un salario ai parroci per contenere gli abusi.

La lunga questione proseguì fino al 1600 anno in cui padre Giovanni Antonio Zizzo, già parroco di S. Ippolito martire, fu inviato a Roma dal Papa per esporre il problema e per comunicare la decisione del Senato. Finalmente Clemente VIII approvò la riforma con Bolla data a Frascati il 15 ottobre 1599 e che venne eseguita a Palermo il 17 aprile 1600.

Da quest’epoca il pontefice concesse al Senato lo “Ius presentandi” dei parroci all’arcivescovo, si dava facoltà agli stessi parroci nominati di eleggere i cappellani e venivano obbligati a celebrare messa nella chiesa parrocchiale almeno cinque giorni alla settimana. Seguivano anche delle multe se il parroco non avesse ottemperato al proprio compito. Contemporaneamente l’arcivescovo don Diego Ajedo sciolse dal vincolo della Mensa Capitolare le chiese di S. Nicolò all’Albergheria, S. Antonio Abate e S. Giacomo la Marina in quanto anche il Senato si sarebbe occupato di queste.

Il Senato, da canto suo, decretò che i parroci dovessero essere palermitani e che fossero approvati dall’arcivescovo almeno 5 mesi prima della nomina. Dal 1645 i parroci potevano portare cotta e stola dottorale che divenne loro insegna. Nel 1660 pretesero di portare mozzetta e rocchetto con decreto della Santa Sede ma si oppose il Capitolo Metropolitano che considerava tale privilegio “come pregiudiziale ad esso Capitolo” e il decreto venne revocato ma nel 1723, stavolta a richiesta del Senato, ottennero dall’arcivescovo don Giuseppe Gasch il tanto sospirato uso del rocchetto e mozzetta in quanto considerati protonotari apostolici.

Nel 1694, dopo qualche decennio del Giuramento sanguinario fatto dalla città in occasione della peste, i parroci si riunirono su consiglio dell’Arcivescovo Bazan e decretarono di porre anche le parrocchie sotto la protezione dell’Immacolata Concezione per cui sopra la porta di ogni parrocchia venne sistemata una statua della Vergine Immacolata (nelle tre chiese parrocchiali ancora esistenti possiamo ancora ammirare tali immagini).

Con il Concilio Vaticano II tutti i privilegi vennero annullati. Oggi il territorio parrocchiale è stabilito dall’Arcivescovo ed è lui che nomina i parroci. La parrocchia ha personalità giuridica ecclesiastica pubblica e viene definita “comunità di fedeli, ovvero una circoscrizione ecclesiastica, dove il vescovo invia un suo presbitero per la cura delle anime che in quel territorio si trovano, in un’ottica di evangelizzazione e di attività pastorale”.

Le Parrocchie storiche di Palermo – Introduzione (seconda parte)

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di Giacomo Cangialosi 

territori parrocchiali nel 1820

territori parrocchiali nel 1820

Descriverò le parrocchie seguendo l’ordine del canonico Antonino Mongitore: Cattedrale, S. Pietro dentro il Palazzo Reale (queste due non verranno trattate in questa sede), S. Antonio Abate, S. Nicolò all’Albergheria, S. Giovanni dei Tartari, S. Ippolito martire, S. Croce, S. Nicolò alla Kalsa,, S. Giacomo La Marina, S. Margherita, S. Nicolò dei Greci (per i fedeli di rito greco) e S. Silvestro dentro il Castello a Mare. A queste bisogna aggiungere quella di S. Giacomo dei Militari dentro il Quartiere Spagnolo (da non confondere con l’attuale in corso Pisani e che ereditò solo il titolo parrocchiale) e quella di S. Maria di Monserrato nella chiesa di S. Lucia al Borgo.

I territori parrocchiali (o distretti come venivano chiamati) erano approssimativamente i seguenti nel 1820 (si allega, per gentile concessione di Marcello Messina, la pianta dei territori parrocchiali nel 1820, grafica di Roberto Miata).

  • Cattedrale-Parrocchia M. SS. Assunta dall’asse via Porta di Castro–via Rua Formaggi fino all’asse via Gioeni – via Celso e via Maqueda.
  • Parrocchia di S. Pietro che amministrava i sacramenti a coloro che abitavano dentro il Real Palazzo.
  • Parrocchia S. Antonio Abate via Calderai, parte dei Lattarini, via Alessandro Paternostro via Loggia e risaliva per via Argenteria e salita S. Antonio e Castellana fino a via Maqueda.
  • Parrocchia S. Nicolò all’Albergheria confinava con il territorio della Cattedrale a nord e poi era delimitato da via Maqueda e dalle mura meridionali (corso Tukory).
  • Parrocchia S. Giovanni dei Tartari (trasferita nel 1874 nella chiesa di S. Nicolò da Tolentino e cambiando negli ultimi decenni il titolo in quello della chiesa ospitante) aveva il limite
    Territorio parrocchiale S. Giovanni dei Tartari

    Territorio parrocchiale S. Giovanni dei Tartari

    occidentale su via Maqueda, il meridionale nelle mura presso Porta di Vicari , via Castrofilippo e ripiegava per via Alloro seguendo poi il confine meridionale della parrocchia di S. Antonio Abate.

  • Parrocchia S. Ippolito martire via Gioeni , via Iudica fino a via Spirito Santo per proseguire fino alle mura del bastione S. Vito e d’Aragona.
  • Parrocchia S. Croce (titolo trasferito nel 1944 a S. Ninfa dei Crociferi e nel 1986 in un territorio, attualmente senza sede, allo ZEN) via Maestri d’Acqua (oggi via F. Raimondi) con il rione S. Giuliano, asse via Panneria-piazza S. Onofrio, abbracciava l’Olivella fino all’attuale via Gagini con il limite settentrionale sulle mura dell’Itria e di Porta Maqueda.
  • Parrocchia S. Nicolò alla Kalsa (titolo trasferito nel 1823 dapprima alla Catena e poi nel 1941 alla Pietà acquisendo in seguito questo nuovo nome) con limite occidentale via Castrofilippo e via A. Paternostro e poi tutto il quartiere della Kalsa fino al mare e Cassaro morto con una piccola appendice comprendente le mura della Lupa e chiese annesse.
  • Parrocchia S. Giacomo la Marina (titolo trasferito nel 1863 e fino al 1874 a S. Sebastiano, poi a S. Zita fino al 1943, con una parentesi a Valverde tra il 1925 e il 1936, quindi nella chiesa della Madonna del Lume ai Cassari fino al 1955 poi a S. Maria la Nova e ancora alla Madonna del Lume per ritornare nuovamente a S. Maria la Nova) comprendeva quasi tutto il quartiere della Loggia dal mare fino all’asse via Maccheronai –via Gagini e delimitato a nord dalle mura presso porta S. Rosalia.
  • Parrocchia S. Margherita (titolo trasferito nel 1898 dapprima a S. Ninfa dei Crociferi e poi nel 1945 nella chiesa di N.S. del Sacro Cuore in via Marabitti) comprendeva la Vucciria fino a via Loggia, tutta la Conceria spingendosi fino a via Beati Paoli (zona S. Giovanni alla Guilla).
  • Parrocchia S. Nicolò dei Greci (titolo trasferito alla Martorana dopo la seconda guerra mondiale) che non aveva un territorio ma amministrava i sacramenti ai fedeli di rito greco di tutta la città.
  • Parrocchia S. Silvestro (titolo perduto) che amministrava i sacramenti agli abitanti del Castello a Mare.
  • Parrocchia S. Giacomo dei Militari (titolo soppresso nel 1874 e ripristinato nel 1933 nella chiesa di S. Isidoro Agricola in corso Pisani che ne ha assunto anche il nome) che amministrava i sacramenti agli abitanti del quartiere militare degli Spagnoli.
  • Parrocchia di S. Maria di Monserrato nella chiesa di S. Lucia (titolo trasferito nel 1943 nella chiesa di S. Maria dei Dolori alle Croci) per gli abitanti del Borgo.
Particolare stallo del coro di S. Croce

Particolare stallo del coro di S. Croce

Oggi la maggior parte delle chiese parrocchiali sono state distrutte da eventi naturali, di “risanamento” e bellici. Esistono ancora la Cattedrale, S. Pietro, S. Antonio Abate, S. Nicolò all’Albergheria, S. Ippolito martire.

Il terremoto del 1823 ha decretato la demolizione di S. Nicolò alla Kalsa.
Risanamento con demolizione hanno interessato S. Giacomo La Marina, S. Giovanni dei Tartari, S. Margherita e S. Silvestro.
Il titolo parrocchiale di S. Giacomo dei Militari è stato trasferito nella chiesa di S. Isidoro in corso Pisani benchè la chiesa originaria all’interno del quartiere militare sia ancora esistente e recentemente restaurata.
Eventi bellici hanno decretato la distruzione di S. Croce, di S. Nicolò dei Greci e di S. Maria di Monserrato in S. Lucia al Borgo.

Nel centro storico le parrocchie si sono moltiplicate e non si capisce per quale ragione considerato che gli abitanti invece diminuivano. Nuove parrocchie che non verranno da me trattate come tali sono: S. Stanislao Kostka al Noviziato, S. Giuseppe Cafasso, S. Anna La Misericordia, S. Francesco d’Assisi, SS. Trinita alla Magione, S. Mamiliano in S. Zita. Per pochissimi decenni furono erette a parrocchie anche le chiese di S. Agostino e di S. Giovanni all’Origlione con il titolo di S. Benedetto.

Alla scoperta delle parrocchie storiche: la parrocchia di S. Antonio Abate

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di Giacomo Cangialosi 

Edicola esterna Ecce Homo

Edicola esterna Ecce Homo

La prima notizia di questa chiesa è del 1220 mentre sappiamo che nel 1226 vi venne trasferito il titolo parrocchiale da quella di S. Cataldo. Nel 1302 avvenne l’edificazione del campanile (forse su antica torre urbica) a spese dei Chiaramonte (anche se taluni studiosi negano l’intervento di questa potente famiglia) dei quali si vedeva lo stemma in una facciata dello stesso insieme a quello del Senato e a quello degli Aragona. Poiché era la parrocchia del Senato vantava privilegi e rendite che negli anni l’arricchirono di suppellettili di notevole valore.

Un tempo si giungeva alla chiesa attraverso un andito coperto che dal Cassaro, sotto la porta detta dei Patitelli (non più esistente perchè distrutta nel 1564 per il prolungamento del Cassaro e così detta per la presenza di alcuni artigiani fabbricanti di zoccoli), arrivava in una caratteristica piazzetta (collegata alla Vucciria da una scalinata oggi non più esistente) dove si trovavano anche vari oratori di Compagnie e Confraternite. Il primo parroco dopo la riforma del 1600 fu Don Girolamo Urgel.

Oggi la chiesa, dopo gli sventramenti per realizzare il primo tratto della via Roma (1884), si trova isolata su un terrapieno cinto da una balaustra. Ai lati di questa perduta galleria di accesso si trovavano due tondi di marmo con l’Annunziata e l’Angelo e un busto dell’Eterno Padre che oggi ritroviamo all’interno della chiesa.

Più volte venne restaurata e ampliata a spese del Senato, l’ultimo importante restauro risale al 1888 ad opera di Salvatore Li Volsi. Nel lato meridionale della chiesa si trova il campanile che nel 1595 venne abbassato perchè pericolante. In esso si trova la campana della Città che serviva ad annunciare i Consigli cittadini e inoltre vi era anche la campana che batteva la Castiddana a due ore di notte (da considerare due ore dopo il tramonto) e che annunciava l’uscita della Ronda invitando i cittadini a rientrare nelle proprie case. La Castiddana veniva anche suonata dalla parrocchia di S. Nicolò all’Albergheria e da quella di S. Lucia al Borgo.

La chiesa, orientata con l’altare ad est, presenta una facciata con tre porte con portali e finestre gotici. Ai lati di quella centrale le statue gaginesche dei Ss. Pietro e Paolo (altre due statue con i Ss. Antonio Abate e Onofrio, forse anch’esse provenienti da un’antica tribuna interna poi distrutta, sono presso l’ingresso dell’ ufficio parrocchiale).

Sulla porta principale la statua marmorea dell’Immacolata del 1694 e un rosone rifatto in stile. L’interno a pianta quadrata con decorazioni a mosaico e con cupoletta emisferica con nicchie angolari, visibile anche dall’esterno, presenta un presbiterio ricostruito nel 1739 con i fastosi stalli del coro coevi scolpiti da Pietro Marino e separato dalla navata da una balaustra del 1719 di Gioacchino Vitagliano.

L’altare è neoclassico, alle pareti laterali ammiriamo due quadri di Gaspare Serenario: “Cristo e l’adultera” e “Cristo e il centurione”. La pala d’altare raffigura “S. Carlo Borromeo durante la peste di Milano” ed è opera di Giuseppe Salerno detto Lo Zoppo di Gangi (secolo XVII).

Nella navata sinistra si osserva il bel fonte battesimale di Filippo Pennino con piedistallo rappresentato da un putto che trafigge il serpente e nella parete un dipinto su lastra di ardesia di Vito D’Anna con “Il battesimo di Gesù”. Segue una “Madonna con il Bambino”, altra ardesia ma più antica della precedente. Nell’altare successivo “Immacolata” statua lignea policroma di Giuseppe Bagnasco del XIX secolo. Nella cappella di fianco al presbiterio, dedicata all’Eucarestia, si trova una bassorilievo di Antonello Gagini con storie della Passione e Angeli adoranti. In alto i tondi dell’Annunciazione e l’Eterno Padre che si trovavano un tempo nella strada coperta che dava accesso alla piazza della chiesa. Nella navata destra una scarabattola con Ecce Homo ligneo attribuito a Frate Umile da Petralia (secolo XVIII) e a seguire l’altare con un “Crocifisso” ligneo di Matteo Cinquemani. Segue una porta che immette nella sacrestia dove si può ammirare una grande tela con “Addolorata” opera di Vito D’Anna.

La cappella accanto al presbiterio custodisce la tela di “S. Antonio Abate” opera di Pietro Novelli. Degni di osservazione sono anche i capitelli delle colonne copiati su quelli del chiostro di Monreale nel XIX secolo. Nei locali adiacenti, oltre allo storico archivio parrocchiale, si trovano numerose tele dipinte più o meno pregevoli. Dopo essere usciti dalla chiesa, presso la scala si trova la cappella con busto ligneo del venerato “Ecce Homo” che proviene da una vicina piazzetta della Conceria qua trasferito quando venne “risanato” quel quartiere. E’ tale la devozione a questo simulacro che spesso la chiesa viene erroneamente nominata come chiesa dell’Ecce Homo.

Da qualche anno, dopo la morte dell’ultimo parroco, non più sostituito, la parrocchia senatoriale è chiusa al culto per cui non è visitabile.

 


Alla scoperta della parrocchia di S. Nicolò all’Albergheria

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di Giacomo Cangialosi 

 Facciata


Facciata Parrocchia S. Nicolò all’Albergheria

La sua fondazione è da ascriversi a poco prima del 1292 in quanto, dice Mongitore, se ne ritrova il suo nome indicata con l’attributo dei Latini, in alcuni testamenti di quell’anno; recentemente è stato ritrovato un documento che la nomina addirittura nel 1259.

Probabilmente venne restaurata e ingrandita intorno al 1400 dalla regina Bianca moglie di re Martino. Fino al 1600 era unita al Capitolo Metropolitano e i parroci erano due Canonici dello stesso. Nel 1600, in seguito alla riforma, passò anche questa sotto la tutela del Senato, primo parroco presentato dallo stesso fu Don Cosmo Pietrasanta.

Fino al 1715 la chiesa, che ancora era in stile normanno con archi gotici e colonne di tufo, venne restaurata dal parroco don Giuseppe Tommaso Castelli e assunse l’attuale veste con pilastri e archi a tutto sesto con cupola nel transetto e venne riaperta nel 1724. Nel 1751 vennero effettuati lavori di restauro al campanile e nello stesso periodo anche alla facciata che venne abbellita da un’edicola con la statua dell’Immacolata e sotto la dedica al santo titolare.

Dopo l’espulsione dei Gesuiti il titolo parrocchiale venne trasferito nella chiesa di Casa Professa dal 1779 al 1805 e questa rimase come filiale. Intanto iniziavano i lavori di rifacimento della Cattedrale e anche questa si trasferì a Casa Professa per cui la grande chiesa del Gesù venne suddivisa tra le due parrocchie con le liti continue che possiamo immaginare.

Nel lato meridionale della chiesa, dove oggi vi è una piazzetta, vi era il cimitero parrocchiale e vi sporgeva il Battistero cui si accedeva dalla navata destra della chiesa. Negli anni ’30 del XX secolo la chiesa rischiò di essere demolita per il prolungamento di via Mongitore ma, grazie alla lungimiranza del parroco Vannelli, vennero scrostati i grossi pilastri ritrovando così le antiche colonne di tufo, la chiesa si salvò per interessamento della Soprintendenza ma il cimitero e il battistero vennero distrutti (si osservano ancora alcune strutture nella parete della facciata meridionale dove venne anche aperto un portone di dubbio gusto per permettere la processione di un fercolo).

Restaurata recentemente, si presenta oggi nella sua veste ottocentesca con affreschi che la decorano all’interno. Degno di interesse è il campanile che in origine era una torre di guardia eretta nel XIV secolo che sovrastava il Kemonia. Nella facciata settentrionale di esso vi era un grande orologio esistente già nel 1518, era quello che batteva la Castiddana: 52 colpi due ore dopo il tramonto (a due ore di notte secondo il conteggio all’italiana e non come hanno scritto taluni alle due di notte!) che indicavano l’uscita della ronda e invitavano i cittadini a rientrare nelle loro case. Fino al 1962 erano ancora presenti il grande quadrante dell’orologio e la loggetta campanaria scomparsi dopo gli ultimi restauri. Da osservarsi anche le monofore e le bifore con intarsi lavici.

La chiesa, orientata con il presbiterio verso est, presenta una facciata a capanna con una bella edicola barocca con statua dell’Immacolata Concezione. L’interno è a tre navate con transetto e all’incrocio delle braccia la cupola decorata con affreschi a finti cassettoni e finto lanternino. Il presbiterio presenta, alle pareti laterali, gli stalli per l’ufficiatura di elegante disegno e l’altare in stile impero da cui sono stati trafugati i bassorilievi. Nella parete di fondo una gloria in stucco. La navata di destra, ormai spogliata delle opere d’arte che la impreziosivano, presenta un Crocifisso ligneo settecentesco (restaurato nel 2013) nel braccio del transetto. In fondo la cappella del SS. Sacramento dove un tempo vi erano affreschi del Ruzzolone e una custodia gaginiana. La navata sinistra presenta sotto il primo arco il fonte battesimale (già nel distrutto battistero) dove venne battezzato il Beato Giacomo Cusmano. In una cappella si venera la statua della Madonna del Soccorso opera tardo-ottocentesca del Piscitello (già nella distrutta chiesa omonima di via Albergheria) e nel braccio del transetto il quadro ottocentesco di S. Nicolò di Bari che ha sostituito una tela più antica. Nella cappella che chiude la navata una bella statua lignea settecentesca dell’Immacolata con abito argentato. In questa cappella si venerava la Madonna della Spersa (pergamena su tavola del sec. XIII) poi passata in un altro altare laterale ed oggi esposta al Museo Diocesano nella sala dei fondi aurei. Nello stesso museo è esposto il grande quadro con la pianta topografica del territorio parrocchiale.

Recentemente è stata ritrovata la cripta sepolcrale con le salme dei parroci vestiti ancora dei loro paramenti. Presso un ingresso laterale il monumento a Corrado e Giuseppe Lancia di Brolo (benefattori della chiesa) del 1928.

Alla scoperta della parrocchia di S. Giovanni dei Tartari

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di Giacomo Cangialosi

Deriva il suo nome, probabilmente, dall’essere questa zona abitata da saraceni o, secondo altri, quando i turchi (detti tartari) nel XIV secolo abitarono questa zona del Giardinaccio. Questa chiesa era fin dal 1330 annessa ad un ospedale poichè si ricava che anche questo venne annesso all’Ospedale Grande e Nuovo.

Nel 1410 la chiesa divenne parrocchia. Il primo parroco dopo la riforma del 1600 fu don Nicolò Cangiamila che era seppellito al centro della navata. L’edificio era in origine con la facciata ad occidente e l’altare ad oriente ma nel 1626 il parroco don Girolamo Danieli la restaurò e inverti l’orientamento affinchè l’entrata fosse nella strada principale detta appunto Strada della parrocchia di S. Giovanni dei Tartari.

Nel 1660 subì un ulteriore restauro per opera del parroco don Tommaso Vassallo e successivamente decorata con stucchi e affreschi e ancora nel 1771 dal parroco don Pietro Del Castillo che vi realizzò anche due nuovi altari. Il 30 novembre del 1874, a causa delle condizioni fatiscenti della chiesa, il titolo parrocchiale venne trasferito nell’ex chiesa degli Agostiniani Scalzi, S. Nicolò da Tolentino, dove vennero portate anche alcune opere d’arte. Poco dopo l’edificio sacro venne distrutto, oggi al suo posto troviamo un edificio scolastico.

La chiesa era a navata unica con presbiterio e quattro altari laterali, due per lato. Alle pareti e nella volta affreschi con storie del Precursore di Cristo. Vi si accedeva da due porte: la principale sulla via omonima (dove probabilmente era la statua dell’Immacolata Concezione) e la secondaria rivolta a settentrione. L’altare maggiore era dedicato all’Eucarestia con custodia artistica e aveva due cantorie con gli organi alle pareti laterali. La prima cappella di sinistra era dedicata al Crocifisso e vi era un affresco ritrovato nel 1628 dal parroco Danieli durante i lavori di restauro. Seguiva il pulpito e la successiva cappella era dedicata a S. Giovanni Battista dove si venerava la statua gaginesca del santo. La parete destra presentava anch’essa due cappelle: la prima dedicata a S. Giuseppe con tela di scuola bolognese (secondo alcuni opera di Pietro Novelli) e la successiva dedicata alla Madonna con quadro dipinto su ardesia con aspetto bizantineggiante (secondo la tradizione ritrovata nel 1716).

Presso la porta era il fonte battesimale del 1494 con piedistallo del 1626 e le due edicole marmoree custodie degli oli santi, dalla parte opposta un medaglione marmoreo con il busto di don Saverio Furnari, duca di Furnari, verosimile benefattore della chiesa. Molte delle opere d’arte furono trasferite nella chiesa di S. Nicolò da Tolentino e infine negli anni ’80 del XX secolo il titolo parrocchiale venne sostituito con quello della chiesa ospitante perdendosi anche la memoria storica di questa parrocchia.

Nell’attuale chiesa parrocchiale ritroviamo nella prima cappella di destra il fonte battesimale originario (con un moderno orribile coperchio in rame) con alle pareti le custodie per gli Oli santi. Nella successiva la statua marmorea del Battista. Nella sacrestia e nell’archivio parrocchiale sono custoditi, oltre i documenti antichi, anche molti ritratti dei parroci, una pianta del territorio parrocchiale e varie tele. I due altari realizzati dal parroco Del Castillo furono sistemati, per volontà del cardinale Michelangelo Celesia, nelle absidi laterali della chiesa dei Ss. Pietro e Paolo in via Bentivegna dove ancora si trovano, mentre l’altare maggiore fu portato a S. Eulalia dei Catalani. L’affresco con il Cristo crocifisso che dava il titolo ad un altare si trova esposto alla Galleria Regionale di Palazzo Abatellis.

Alla scoperta della parrocchia di S. Ippolito martire

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di Giacomo Cangialosi 

battistero  chiesa S. Ippolito

battistero chiesa S. Ippolito

Non si conosce l’anno di fondazione di questa parrocchia in quanto i vari manoscritti non lo indicano. Sicuramente il primo anno certo è il 1308. Il primo parroco dopo la riforma del 1600 fu don Giovan Battista Bramè. Nel 1718 si rinnovò il presbiterio che era stato edificato nel 1583, distruggendo la vecchia abside e le due piccole laterali, ma mentre si completavano i lavori di restauro, il 7 aprile 1719, notte del venerdì santo, rovinò parte dell’edificio presso la porta maggiore per cui il parroco don Giuseppe Sileci chiamò per dirigere i lavori l’architetto del Senato Andrea Palma.

La chiesa fu riaperta al culto il 10 agosto 1728 con l’occasione della prossima solennità di S. Ippolito (13 agosto). Nel 1844, a spese del parroco don Filippo Sineri, l’interno venne decorato da Giovanni Patricolo con finti marmi e con tempere nella volta imitanti rosoni e finti cassettoni. Tra gli archi della navata centrale sei tondi dipinti a tempera con le allegorie dei Sacramenti. Al centro della volta un affresco con “Gesù che appare nel lago di Tiberiade” sostituito negli anni ’50 del XX secolo da una tela con “L’Apparizione a Tommaso” di scarso valore. Nel 2008, nel settimo centenario della parrocchia, il parroco don Salvatore Pagano ha fatto realizzare l’altare rivolto verso i fedeli sotto il quale sono venerate le reliquie di S. Mattia apostolo. Da qualche mese l’edificio sacro è chiuso per restauri che si spera siano brevi.

La chiesa ha il frontespizio rivolto a occidente e l’altare maggiore verso oriente; ha tre porte sulla facciata, sopra la centrale una statua marmorea dell’Immacolata Concezione e in alto tre medaglioni in stucco con i Ss. Pietro e Paolo (quest’ultimo mancante) e al centro S. Ippolito.

La chiesa è divisa in tre navate sorrette da 10 colonne di marmo di Billiemi. Profondo il presbiterio e davanti ad esso l’antititolo ricordo dell’antica chiesa a pianta basilicale. All’ingresso due belle acquasantiere secentesche marmoree. Nell’arco trionfale l’aquila senatoriale e sotto di essa una pregevole “Croce” dipinta del XIV secolo bizantineggiante. Nel profondo presbiterio l’altare marmoreo neoclassico con sopra la pala con “Il martirio di S. Ippolito” (XVIII sec. ) attribuito a Gaspare Serenario ma forse di Filippo Randazzo. In alto, nel timpano, “Gloria della SS. Trinità” in stucco.

Sul tabernacolo era un pregevole Crocifisso d’ avorio (attualmente nella chiesa della Concezione). Nelle pareti laterali gli stalli per l’ufficiatura e sopra due cori lignei neoclassici con un organo settecentesco realizzato dall’Andronico. Notevoli anche le due credenze settecentesche con angeli reggimensa. Nella navata di destra nel primo altare: “Madonna del Rosario con santi domenicani e S. Rosalia”, tela settecentesca attribuita a Filippo Randazzo. Segue la cappella con le statue cinquecentesche dei “Santi Medici Cosma e Damiano”, provenienti dall’omonima chiesa chiusa al culto nel 1970 circa.

In fondo alla navata l’archivio parrocchiale che conserva ancora, dentro armadi dipinti del XIX secolo, tutta la documentazione dei sacramenti e stato d’anime del territorio parrocchiale dal cinquecento ad oggi (caso forse più unico che raro delle parrocchie cittadine). Nella navata di sinistra in un piccolo vano il fonte battesimale del 1623 realizzato per volontà del parroco Scirrotta.

Nel primo altare “Immacolata e Santi” attribuita a Filippo Randazzo e sotto un busto ligneo di “S. Giuseppe” di scuola napoletana. Segue nella terza lesena un affresco bizantineggiante raffigurante la “Madonna con il Bambino” testimonianza dell’antichità della chiesa. Nel secondo altare un “Crocifisso” ligneo settecentesco e una tela coeva dell’Addolorata.

Nel terzo altare “Immacolata” lignea di Vincenzo Genovese del XIX secolo. Interessante la grande sacrestia (già oratorio del SS. Sacramento) dove sono conservate tele di notevole interesse: “Lavanda dei Piedi” grande tela secentesca, “Madonna con il Bambino” lavagna secentesca, “Cristo con i simboli della passione” attribuita a Mario Di Laurito, “Sacra Famiglia” di Guglielmo Borremans e “Cristo con la croce” di Giovanni Patricolo. Si osservino anche i ritratti di alcuni parroci. Nella volta l’affresco secentesco con “Ercole che abbatte il leone (simbolo del Mandamento Monte di Pietà) e la SS. Eucarestia”.

Notevoli i confessionali, gli armadi e il banco dei ministri provenienti dalla chiesa delle Stimmate come anche la sede presidenziale (reventemente sottoposta ad un “restauro” molto discutibile) e gli sgabelli. Accanto esiste ancora la canonica, con balconi a petto e belle mostre in tufo, che necessita di restauri.

Consigli per non aumentare di peso durante le feste

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mangiare, cibo, colazioneLe feste natalizie si avvicinano? Ecco alcuni semplici consigli per evitare di mettere chili di troppo durante le vacanze.

• Non esagerate nelle quantità, evitate le abbuffate.
• Non esagerate nel consumo di dolci e pasta.
• Inserite, oltre le porzioni a base di verdure, anche quelle di frutta fresca, limitando la frutta secca e candita ai soli giorni di festa.
• Non effettuate singoli pasti abbondanti, ma meglio diversi pasti quotidiani.
• Non fate mai mancare sulla tavola natalizia abbondanti caraffe di acqua.
• Non esagerate nel bere vino o alcool in genere ed evitare le bibite gassate, zuccherate e i superalcolici.
• Abbinate sempre una fonte proteica (carne/pesce) ad ogni pasto.
• Per trasformare le ricette in versione “light”, senza rinunciare al gusto, è possibile:
– preparare il soffritto con del vino bianco, evitando olio e burro: con il calore il vino evapora e perde il suo valore calorico, ma rende saporiti aglio e cipolla;
– limitare l’uso del sale e utilizzare verdure e spezie per insaporire e colorare le pietanze: zafferano, origano, pepe, pomodorini, peperoncino ecc.;
– limitare i condimenti grassi con alternative più fantasiose: spezie e funghi per i primi piatti; succo di limone, o di arancia, capperi e sottaceti per carne e pesce; aceto o limone per le verdure;
– preferire, ove possibile, le cotture al vapore, al forno o alla piastra rispetto al fritto;
– preparare dessert a base di frutta (macedonie, frutti di bosco), yogurt magro e sorbetto.
• Prima di pranzare effettuate un leggero spuntino per non arrivare “affamati” al pranzo.
• Rispettate i giusti tempi di digestione dell’organismo, evitate di ravvicinare i pasti (visto che i pranzi di natale sono lunghi e duraturi, a volte pranzo e cena sono senza soluzione di continuità).
• Se vi piace degustare panettoni, meglio acquistare quelli freschi, preparati dalla Pasticceria, evitate quelli confezionati, presentano più grassi idrogenati e altri elementi dannosi per la salute.
• Consumate panettone, pandoro e altri alimenti ipercalorici tipici delle festività solo nei giorni di festa, evitando di mangiarli quotidianamente nei giorni successivi, in particolare a colazione o a merenda.
• Evitate di accompagnare i dolci natalizi con creme, cioccolata e farciture varie.
• Per aiutare a smaltire le calorie in eccesso, assunte con gli alimenti, si può:
– mantenere in casa e negli ambienti di lavoro temperature non superiori ai 20 °C;
– mantenere uno stile di vita attivo, spostarsi preferibilmente a piedi o in bicicletta e preferire le scale al posto dell’ascensore.

Buone feste a tutti!

dott.ssa Flavia Cascio

Parrocchie storiche di Palermo: la parrocchia di S. Croce

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di Giacomo Cangialosi 

Facciata dopo il  5 aprile 1943

Facciata dopo il 5 aprile 1943

La prima notizia di questa chiesa risale, secondo il canonico Mongitore, al 1267 ma varie volte venne rinnovata: la prima tra il 1430 e il 1470 per volontà del parroco don Giovanni Terramaura, quindi nel 1545 e l’ultima più importante nel 1630 per volontà del parroco Sansone che addirittura ruotò la chiesa di 180° per far sì che l’ingresso principale fosse nella nuova strada: la via Maqueda.

Altri restauri avvennero nel 1670, nel 1720 e l’ultimo nel 1810 per volontà dell parroco don Ignazio Natale. La facciata presentava una porta centrale con sopra la statua dell’Immacolata e in alto due torri campanarie. Un’altra porta era sul lato settentrionale che si apriva in uno slargo dov’era il cimitero parrocchiale (in esso si trovava la piramide marmorea, un tempo al centro della via Maqueda, che indicava una cappellina posta nel passaggio sottostante dedicata alla Vergine detta della Volta per la quale poi si edificò l’omonima chiesa detta anche dei “vintitrì scaluna”).

L’interno era a tre navate divise da pilastri con presbiterio e due cappelle laterali all’abside, in quella di destra vi era il quadro dell’Immacolata opera del Testa e le pareti erano rivestite di stucchi toccati in oro, sotto una piccola statua dell’Ecce Homo che godeva di molta venerazione e che era appartenuta alla Serva di Dio Suor Orsola Santini teatina del monastero di S. Giuliano (forse quello stesso in marmo alabastrino che oggi è venerato nella chiesetta del Signuruzzu?); quella contigua al cappellone dal lato sinistro è dedicata al SS. Crocifisso ed in esso si osservava un ciborio marmoreo gaginesco.

Il presbiterio presentava gli eleganti stalli del coro per l’ufficiatura (fatti realizzare dal parroco don Carlo Vanni nei primi anni del XVIII secolo) ai lati con sopra due affreschi di Guglielmo Borremans (secondo alcuni di Vincenzo Manno che affrescò anche la volta della chiesa con i 4 evangelisti) , l’altare in stile neoclassico con begli angeli reggimensa e in alto il quadro della SS. Trinità di Giovanni Patricolo proveniente dalla demolita chiesa delle Stimmate. La navata di destra aveva sotto il primo arco il fonte battesimale in marmo rosso, nella prima cappella la tela della S. Famiglia opera di Filippo Tancredi e nella successiva il quadro della Vergine dell’Allegrezza dello stesso Tancredi.

La navata di sinistra presentava nel primo altare “S. Nicola di Bari” di Filippo Tancredi e nella successiva “La Madonna di Trapani” tela del 1592 poi sostituita dal quadro di S. Camillo di Lellis. In questo stesso lato vi era la sacrestia sopra la porta della quale si ammirava la tela di “S: Michele arcangelo” opera del Tancredi come pure “L’Angelo Custode” sulla porta laterale della chiesa. Il primo parroco dopo la riforma del 1600 fu don Giovanni Mazziolo.

Il 5 aprile 1943 la chiesa subì i primi danni causati dalle schegge del palazzo di fronte bombardato e quindi il 9 maggio veniva centrata da una bomba. Fino agli anni ’80 del XX secolo erano ancora visibili le strutture della chiesa che si sarebbe potuta restaurare (come successo per altri edifici più danneggiati), poi la demolizione totale ad opera della Curia arcivescovile proprietaria dell’immobile.

Oggi al suo posto il nuovo edificio del progetto Quaroni. Dopo i bombardamenti il titolo parrocchiale venne trasferito a S. Ninfa dei Crociferi (dove era già ospitata la parrocchia di S. Margherita alla Conceria che venne spostata in una chiesa di via Montalbo) quindi nel 1971 il territorio di S. Croce fu diviso tra le parrocchie vicine. Nel 1986 venne eretta allo ZEN una nuova parrocchia con lo stesso titolo parrocchiale di S. Croce attualmente però priva di sede.

Molte delle opere d’arte ivi contenute andarono distrutte dalle bombe, si salvarono il fonte battesimale oggi nella parrocchia di S. Luigi Gonzaga in via Ugdulena, la tela con la Sacra Famiglia oggi a S. Espedito, il ciborio gaginesco oggi a S. Giovanni apostolo al CEP (anche se è stato tagliato(!!!) per adattarlo alla nuova ssistemazione) e parti di un altare spostato nella chiesetta del Signuruzzu all’Olivella ma poi distrutto (resta solo il tabernacolo in marmi mischi). Nei depositi del Museo Diocesano la tela del Tancredi raffigurante S. Nicola di Bari. La piramide marmorea del cimitero, ormai smontata, e alcune campane si trovano oggi nel vicino chiostro dei Crociferi insieme a varie lapidi.

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